Italia e Giappone a confronto
Italia e Giappone, paesi più vecchi del mondo, crescita bassa e debito pubblico boom, unico dato divergente , l’occupazione
di Nicola Cacace,1/1/2017
Shinzo Abe, primo ministro giapponese da oltre un decennio è salito agli onori della cronaca per aver dato il suo nome ad una nuova teoria, Abenomics, consistente nella massiccia iniezione di capitali pubblici nell’economia, senza risultati apprezzabili sulla crescita. Anche l’Italia può lamentare decenni di risultati negativi sulla crescita pur avendo aumentato il debito pubblico. Due paesi geograficamente e culturalmente lontani, appaiono vicini per risultati socio-economici, fatta eccezione per l’occupazione che il Giappone ha mantenuto ad alti livelli malgrado la “decrescita”, a differenza del’Italia.
Quali sono i paesi col più basso indice di natalità? Giappone, 1,3 figli per donna e Italia, 1,4 contro una media mondiale di 2,0.
Quali sono i paesi più vecchi del mondo? Giappone, 46 anni di età media ed Italia 45, contro una età media mondiale di 30 anni.
Quali sono i grandi paesi dall’economia più stagnante da decenni? Italia la cui crescita media è stata zero% dal 2000 al 2015 e Giappone, la cui crescita media è stata dello 0,8% nello stesso periodo. Contro una crescita mondiale media del 3,5%.
Quali sono i grandi paesi col più alto debito pubblico al mondo? Giappone col 240% del Pil ed Italia col 130%.
Quali sono i paesi col più basso livello di IDE, investimenti diretti esteri? Nell’ultimo decennio sia in Italia che in Giappone gli IDE in entrata ,sono stati inferiori all’1% dei rispettivi Pil.
Quali sono i grandi paesi industriali col più basso numero di stranieri immigrati? Giappone col 2% ed Italia con 8,3%, contro valori medi molto più alte di altri grandi paesi, S.U, Canada, Germania, G.Bretagna, Francia, Spagna, tutti superiori al 13%.
Giappone ed Italia differiscono solo per il dato occupazionale. Mentre il Giappone ha il più basso tasso di disoccupazione dei paesi OCSE,4%, l’Italia ha il più alto dopo la Spagna, 12%, mentre il Giappone ha un tasso di occupazione (rapporto tra occupati e popolazione 15-64 anni) tra i più alti 72%, l’Italia ha il più basso, 56%. Cioè all’Italia mancano 6 milioni di occupati per avere un tasso di occupazione simile a quello giapponese. Come è stato possibile questo miracolo occupazionale? In Giappone l’obiettivo piena occupazione è una priorità del governo e delle imprese, perseguita con molte procedure, dal lifetime employment, occupazione a vita alla seniority, salari che aumentano con l’anzianità più che con i soli meriti. Poiché quasi metà dell’occupazione opera in tali regimi, e più della metà in regimi più precari, part time, lavori occasionali, etc., nei periodi di crisi si attivano tutte le misure pro occupazione da parte delle imprese e dello Stato, con abolizione degli straordinari, riduzioni di orario, pensionamenti anticipati (in Giappone l’età pensionabile è tra le più basse 60 anni) il tutto agevolato con generosi contributi del Governo, il cui debito pubblico è infatti il più alto del mondo (da notare che il debito pubblico giapponese è tutto in mano ai giapponesi che si contentano di un interesse bassissimo, a differenza di quello italiano, largamente in mani straniere).
In sintesi la mia tesi è semplice, la stagnazione economica ed occupazionale dell’Italia ha molte cause, a cominciare dalla inefficienza della pubblica amministrazione e della Giustizia, per finire ad un capitalismo industriale familiare ed asfittico, ma la causa numero uno è la bassa natalità ed il conseguente invecchiamento che danneggia sia la domanda che l’offerta e quindi il Pil e l’occupazione.
Dal lato della domanda il Pil è fatto per l’80% di consumi ed i consumi degli ultrasessantacinquenni, abitazioni, abbigliamento, mobilità, alimentari, con l’eccezione dei farmaci, sono meno della metà di quelli della popolazione più giovane. Dal lato dell’offerta nella società digitale la maggioranza delle innovazioni è fatta dai giovani ed infatti l’Italia è un paese a bassa innovazione che non riesce a dar lavoro neanche ai suoi giovani che sono la metà di trent’anni fa. Da tutti i dati emerge con chiarezza che l’eccessivo invecchiamento mette in crisi l’economia di un paese, a meno di non compensarla con flussi immigratori paralleli ed intelligenti, come ha fatto ad esempio un altro paese a bassa natalità e molto vecchio , la Germania (45 anni di età media) che ha migliorato la condizione demografica prima con massicce immigrazioni di italiani, spagnoli e turchi, poi di siriani, afgani, africani ed oggi ha una quota di immigrati superiore al 15% della popolazione. E a meno di non ridurne i danni sociali con politiche pro labor, riduzioni di orario e simili. L’Italia invece marcia in direzioni contrarie, con la precarietà crescente dei giovani senza futuro e senza figli e con le paure anti immigrati che non si abbassano neanche davanti al fatto che 4000 Comuni su 8000 sono in via di spopolamento e destinati a divenire Comuni fantasma?
Il futuro demografico del paese è addirittura peggiore del presente, perché la natalità sembra ulteriormente – quest’anno sono nati meno di 500mila bambini, meno di un anno fa – e perché un forte sentimento anti immigrazione avanza sotto la spinta degli sbarchi continui dal Mediterraneo che impauriscono la gente, anche per la propaganda di odio anti immigrati diffusa dai partiti populisti. Il tutto favorito dal fatto che pochi conoscono i danni che un invecchiamento della popolazione da bassa natalità e bassa immigrazione, producono sul sistema produttivo e previdenziale. Sono uscite di recente due “previsioni demografiche al 2050 a migrazioni zero” elaborate da Eurostat e dal prof. Livi Bacci che non hanno avuto circolazione mediatica. Il quadro che ne esce è nero non tanto per le riduzioni di popolazione di 10 milioni, da 60 a 50, quanto per l’ulteriore invecchiamento. L’Italia, paese ad alta intensità abitativa, potrebbe vivere benissimo con 10 milioni di cittadini in meno, ma non con 12 milioni di giovani in meno e 2 milioni di anziani in più
L’età media della popolazione passerebbe dall’attuale 45 a 53 anni e l’indice di dipendenza anziani (rapporto tra popolazione di 65 anni e più e popolazione di 15-64 anni) passerebbe dall’attuale 34% al 43%, che decreterebbe il tracollo definitivo dell’assetto socio-economico e previdenziale del paese.